31.5.08

la morte e la vita

non mi abituo alla morte.
la aspetto da troppo
e alle volte mi sembra davvero
che Dio mi stia pigliando per il culo,
o peggio,
si sia dimenticato di me
e fa passare avanti gli altri...

quelli che mi sembra impossibile viverci senza.
quelli che mi sostengono e amano senza condizione alcuna.
quelli che ci sono e non se ne fregano.
quelli che sono la mia gente.

la morte mi rende infinitamente piccola e indifesa.

e non mi abituo neanche alle sorprese belle che alle volte ti può fare la vita.
quelle non me li aspetto mai e quando arrivano
quasi non oso gioirne,
per paura
che me li stia solo immaginando.

tante volte credevo che fosse l'amicizia, il successo, la salute, la felicità
e non durava mai tanto il "momentum".

insomma tristezza e felicità insieme.
come si fa?
piangere e ridere insieme.
come si fa?

morte e vita sembrano consolarsi a vicenda,
usando me come pedina nel loro gioco.

ecchecazzo!

love, mod

15.5.08

q.v.d.?

Quale è il gioco che mi fa sballare?
Quale la cosa da dirmi, per farmi traboccare in ogni senso?
Quali sono le persone che mi fanno sopravvivere -
e quali le persone che invece mi fanno venire un nodo alla bocca dello stomaco?
Quale il libro da leggere?
Quale il blog da aprire ogni mattina, mentre bevo il caffè?
E quale cazzo di musica è da ascoltare?

E, soprattutto, perché?

Mio fratello mi viene a trovare. Un fuori programma. Mi regala nuovo collare. Dà scosse elettriche. È per cani che scappano (molto ben scelto!). Il gioco è semplice: rincorrersi in città,vestiti da fuori legge, prendendo io la scossa da lui ogni volta che qualche spettatore ignaro si ferma e ci osserva, recitando la parte della donna preda. Vedere gli sguardi increduli, eccitati e smarriti della gente ci fa sballare. L'ingrediente fondamentale è di ambientare il gioco più possibile nella realtà, cioè cerchiamo sembre di creare una situazione in cui non tutto è sotto il nostro controllo. Sicurezza? Sempre! Ripettitività? Da evitare! Il glossario del nostro gioco è brevissimo. Contiene meno di dieci comandi/parole/frasi. “Cammina”, mi dice lui. E io trabocco letteralmente. Mio fratello appare cosi, senza preavviso. Quando entra in casa e mi abbraccia sono felice e sento che ho ricevuto un altro po’ di tempo da vivere.

Ci sono invece delle persone che fanno un’altro tipo di gioco. Non serve tanto a divertirsi, ma piuttosto a manipolare e dividere per rinforzare quello che credono il proprio potere. Ti ignorano, poi ti lusingano, poi ti prendono in giro, poi ti regalano cose e poi non ti conoscono. I never found "tease and deny" a very intelligent game. E siccome non capisco quel tipo di gioco, mi viene quel nodo alla bocca dello stomaco. Per una frazione di tempo mi sento non all’altezza, ma poi, grazie a Dio, torno in me. Capisco che il trucco sta proprio nell’agire in maniera tale che io mi chieda “perché” – dietro c’è il nulla. Fanculo a loro!

“Six Pack”, mi dicono, è un libro da leggere. Lo scrive uno di Milano che inventa le sorprese deficienti che si trovano nelle merendine. Si chiama Gianni – che nome banale. Ma come fetish sceglie i suoi addominali, Iggy e la necessità di una scopata ogni 15 giorni. Quindi cattura la mia curiosità. Vedremo se ha davvero qualcosa da dire o se è come Iggy quando non è a dorso nudo.

La musica. Difficile. Non ascolto nulla. Ma provo a cantare. Mi trovo penosa, però M., una checca (sempre a me!) inglese di 60 anni che ha deciso di suonare insieme a me, ha detto che non “ha mai sentito le solite vecchie storie raccontate come lo faccio io” – Look out Lotte Lenya!

mi capita tutto questo senza il solito "drama of life itsself" - quindi mi sembra tutto molto più banale. Sto bene. Sono serena. Non ho niente di travolgente da dire.

Love, mod

...oh, il primo blog che apro la mattina è quello di "geriatric" su youtube. I love that man.

7.5.08

Trilogy - vol. 3 - nude, blood, blade - not happy but perfect end

il music doc ha detto che il pezzo mio ultimo faceva schifo e che devo scrivere solo quando sono in vena. e ha ragione. quindi lascio fare a viggo.
enjoy!

Trilogy - vol. 2

non è un happy end.
ma un happy intermezzo, sì.
la serenità di "ti fidi di me? - Sì!" non non è la vera fine. quella non te la fan vedere mai nei film.
andrea, mi hai chiesto come fanno a convivere in me tutto quel sangue e la musica di Morricone. Al sangue mi ci hanno costretta, alla musica no. Insieme formano una specie di equilibrio in bilico.

Love, mod

4.5.08

TRILOGY - vol, 1


La donna non aveva visto arrivare il fendente.
Il coltello era di quelli con la lama leggermente curva e lui, inaspettatamente esperto, aveva mirato dritto alla gola.
Solo un riflesso d’istinto atavico aveva salvato la donna dall’essere sgozzata.
La lama aveva tagliato la guancia, mancando di pochissimo l’unico occhio della donna e finendo la sua linea rossa nel labbro inferiore.
Aveva speso troppo per prenderlo. Ansimava a bocca aperta.
Un rivolo di saliva e sangue le filava dalla bocca, colandole sul petto sudato.
Sembrava che la facesse franca lui.
L’occhio della donna sbarrato per la fatica, due fessure gli occhi del ragazzo.
Scuro di pelle. Fianchi stretti. Un petto da fanciullo.
Quell’aria da ragazzo le aveva fatto abbassare la guardia. Lo aveva guardato ammirato. Ultimamente le capitava di guardarli prima di uccidere.
E lui aveva approfittato istintivamente di quel momento.

Lo aveva rincorso a lungo nei vicoli stretti e ora era lì, malferma sulle gambe. Ancora era in piedi. La vista leggermente annebbiata ma con tutti i sensi all’erta. Fili di capelli neri bagnati di sudore e sporchi di polvere rigavano il viso insanguinato. Lui, a 10 passi da lei, sembrava incerto sul da farsi. Scappare? Sicuramente quella donna cosi strana non avrebbe concesso una seconda occasione, con quella benda sull’occhio che le dava un che di piratesco e l’occhio di un nero profondo che prometteva di mantenere quel che diceva lo sguardo ora affaticato ma indifferente al proprio destino. Meglio finirla. Perché lei, se ora lui fosse scappato, avrebbe continuato a darle la caccia.

Al ragazzo, mentre si avvicinava con cautela, si rizzavano i peli sulla nuca. Aveva ucciso la prima volta a sei anni. Insieme ad altri cinque compagni di schiavitù aveva ammazzato a sassate un padrone sadico che non solo aveva fatto faticare lui e i suoi compagni sotto un sole cuocente, ma aveva abusato di loro ogni notte, lacerando e facendo sanguinare le loro giovani carni. Una notte aveva lanciato il primo sasso e i suoi compagni lo avevano aiutato a finire il vecchio Alì, rispettandolo da lì in poi come loro capo.
La vecchia che vendeva il pane al suk della città e che ogni tanto regalava a lui e gli altri il pane rimasto alla fine di una giornata, un giorno gli aveva preso il mento con la mano e con lo sguardo triste aveva previsto che avrebbe ancora ucciso. Non per odio, ma perché gli veniva facile. E quella profezia si era rivelata vera. Ora, a vent’anni appena compiuti, aveva ucciso altre decine di volte. Per la libertà, gli dicevano. Lui sapeva, che non c’era nessun motivo nobile, lo faceva soltanto perché gli veniva facile e perché fino ad oggi l’aveva fatta franca.

Uno dei due sarebbe morto. E questa volta, anche se la donna sembrava disorientata e esausta, poteva essere lui.

Con il piede nudo il ragazzo calciò sabbia e polvere nella direzione della donna, per vedere se reagiva. E la donna cadde in ginocchio con un lamento, cadendo con le mani in avanti. Ora la saliva mescolata al sangue che le uscì dalla bocca disegnò lo sfinimento nella sabbia.

“Come ti chiami ragazzo?” La voce della donna era tranquilla.
“Mi chiamo Amir.”
Lentamente la donna alzò la testa. L’unico occhio era arrossato e lacrimava.
“Se non vuoi morire, Amir, è meglio che tu ti muova ora. Sei in tempo. Non sarò in grado di seguirti ancora per un bel po’.”
“Ma tu smetterai di cercarmi?”
“Lo sai che non posso, ragazzo.”
“Ma io non so niente, non sono nessuno”
“Stronzate. Tu e il tuo gruppo siete responsabili degli ultimi due attentati nella zona verde di Baghdad. E loro hanno deciso che è ora di fermarvi.”
La risata di Amir era amara e sprezzante.
“Ma se fino ad ora a quelli lì faceva comodo che noi ammazzavamo la loro gente. Cosi la guerra continua e loro guadagnano milioni di dollari ogni giorno.”
“Lo so.”
“Lasciami andare, donna:”
“Non posso.”

La donna si drizzò sulle ginocchia. Le mani lungo i fianchi.

“Allora ti ammazzo.”
Amir ora è arrabbiato. Non vorrebbe ammazzarla questa. In un certo senso la rispetta. Capisce che lei non ha scelta. Sta facendo solo il suo lavoro e non sembra troppo felice di farlo. Lui cerca di girarle alle spalle, ma la donna si lascia cadere ancora sulle mani e con una gamba stesa fa cadere Amir. Gli entra della polvere negli occhi. Ora si difende alla cieca. Non vede quasi niente. La paura arriva come un pugno. Come ha potuto pensare di vincerla. Il suo istinto l’aveva messo in guardia, ma lui aveva preso la decisione sbagliata. Un calcio fortissimo, dato di tallone, gli arriva sul plesso solare. Mentre tutto diventa buio intorno a lui, sente lei che dice “Mi spiace ragazzo, non ho la forza per lottare con te. Faremo una cosa veloce.”

Il ragazzo è nudo.
Due corde che dai suo polsi vanno intorno a due pali di cemento lo tengono nella posizione del crocifisso.
Il corpo ha assunto una posizione naturale, quasi elegante.
Con la mente sgombra si chiede come lo farà morire.
Non ha paura del dolore. Il dolore è suo amico da quando è un bambino.
Non lo può dire lui alla donna, deve scoprirlo da sé.
Il ragazzo è lucido.
La donna gli sorride, estrae due lame d’assalto dai foderi che porta legati alle cosce e dice “Se mi dici quello che voglio sapere non ti faccio male. Ti uccido e basta.”
Il ragazzo le sputa in faccia.
“Bene. Sei coraggioso. Dimmi Amir, non hai paura perché non hai mai provato vero dolore o perché ne hai provato troppo?”
Il ragazzo tira un calcio. Ora è arrabbiato. E la rabbia lo rende goffo.
Per un secondo perde l’equilibrio, se non fosse legato per i polsi cadrebbe all’indietro.
Dalla bocca della donna un verso eccitato. Fa un movimento veloce, buttandosi in avanti, e pianta i suoi due coltelli nei piedi del ragazzo. Un urlo solo. Poi silenzio. Ora Amir non può più muoversi, difendersi, lottare. Il viso del giovane mostra più sorpresa che sofferenza. Si aspettava una sottile tortura e non una mossa cosi rozza ma definitiva.
“Direi che siamo pronti per fare due chiacchiere, che ne dici?”
“Non….so…..niente. Lo giuro.”
“Amir, Amir…quando e dove? E cosi semplice.”
(la foto è di Joerg Zimmermann - vedi anche link al suo sito web....e no, ancora non so come cazzo continua sta storia. e francamente son stufa di raccontare sempre io il bagno di sangue. magari non posso farne a meno di vederli nella mia testa, ma ultimamente ho la nausea di raccontarli. ho visto la foto di joerg e le parole son venute cosi. love mod)